Come ogni anno vi presentiamo una raccolta dei rants del Demiurgo, raccolti in giro, sulla rete sociale, dove il nostro imperversa come non ci fosse un domani.
Tipa sui cinquanta che te ne stavi affacciata a busto nudo alla finestra di una palazzina alle dieci e mezza di un lunedì romagnolo da cani come al solito, hai incrociato il mio sguardo quando io già da lunghi secondi ti fissavo mentre risalivo a piedi la via, nelle orecchie un classicone di Bon Jovi, mi pare di ricordare Keep the faith, completamente incredulo davanti allo spettacolo che mi squadernavi, non che c’avessi un petto memorabile, però via a due puppe non si nega mai un’occhiata; ti sei allora ritratta in casa veloce come un’idea allegra, facendo seguire il fragore della tapparella precipitata giù che neanche i ruscelli negli orridi montani; a te volevo solo dire che se sporgi le tette sulla pubblica via può anche darsi che qualcuno le noti, io comunque ti rispetto sia come donna che come esibizionista, e posso capire che questo possa essere un modo come un altro per combattere l’afa. Però ecco dai, anche no.
Coppia sulla settantina che sedevate dietro me in aereo: vi credevo in difficoltà per via dell’impaccio che dimostravate, invece quando una tipa vi ha chiesto se era la prima volta, avete risposto in un bolognese perfetto che volate una volta al mese da circa tre anni e mezzo per venire a trovare la domenica vostra nipote e farle i tortelìni (con una L sola).
Un’altra Emilia è impossibile, e però ci vuole più brexit dai.
Tipo sui 55-60, apparentemente businessman d’altri tempi, che mi sedevi poc’anzi a fianco: ho avuto il piacere di vedere che ti eri stampato un compendio di indicazioni stradali di Google Maps (TM) su una sessantina di fogli non fronte/retro, lussuosamente spiralati, in corpo direi ad occhio e croce 24.
a te non ho detto e non dirò nulla, ma sappi che ho parlato ai fratelli di tutti quelli alberi che col tuo gesto hai fatto abbattere invano, e questi l’hanno presa talmente male che da oggi in poi, fossi in te, mi guarderei le spalle ogni volta che ti trovi nelle vicinanze di qualsiasi forma di flora.
Tavolo di sette, otto donne piuttosto in carne, piuttosto al limite della definizione di curvy, bevevate roba di colore rosso o arancione perché quest’anno come non mai vanno di moda i drink dal colore caldo, parlando con insistito divertimento di quanto sia bello l’uomo con un grande pene, facendo quindi in modo che io abbia potuto fantasticare su temi a cavallo tra il boccaccesco ed il pecoreccio, quando avrei maledettamente voluto evitare questa deriva mentale.
Ma siccome he gave us the wine to taste it, not to talk about it, perdio alzatevi ed andate a rimorchiare che da sedute in sto posto, di certo, non troverete altra parte anatomica maschile che non siano le mie orecchie.
E per la tizia che “Mamma, mamma, sto al gate, al gate capisci? Non mi rompere che mi fai spendere il credito”, ma si capiva che voleva comunque renderci tutti partecipi del suo stato, come se anche noi non fossimo stati al gate.
E per la tizia che inveiva contro suo padre con fare minaccioso “Come, cosa sarebbe a dire non ti parte la macchina, adesso vai da zia e te la fai prestare, io sul bus non ci vado, è chiaro?”.
E per il tipo che s’è succhiato per due ore un mezzo toscano spento, togliendosi di tanto in tanto dei bricioli di foglia dalla bocca per poi pulirsi sotto al sedile.
Per il tipo che “come cazzo atterra sta gente, non sanno neanche fare il loro lavoro” e invece secondo me lo sanno fare bene perché in caso contrario saresti spetasciato.
E per tutta la gente che malgrado sullo schermo ci fosse scritto please have a seat, e malgrado le parole cortesi degli addetti, loro no, non avevano la loro seat, preferendo starsene delle mezz’ore in piedi disordinatamente davanti alla porta d’imbarco, neanche ci fosse una logica di first come first served.
E per tutto questo oh mio signore io ti ringrazio, ma la prossima volta fammi un cazzo di figlio di un sultano a caso in modo da potermi permettere un velivolo ad uso personale.