(Scritta con la collaborazione di Alvise Marinetti, da leggere con questo sottofondo)
Con Felipe, Diego e Miguel giravamo con una Chevrolet del ’54. Rossa.
Occhiali a goccia, baffo folto, capello in parte tenuto con il gel, camicia con il collettone, bragone nero attillato, scarpa lucida un po’ impolverata, alcuni con lo stivale e lo sperone.
Avevamo sempre della tequila e una colt nel cassettino, o del mezcal che è più da cazzuti, e una chitarra nel bagagliaio, vicino alla corda con cui legammo Jose nella famosa notte che sai e non c’era storia, ogni mattina saltavamo in macchina per andare chissà dove, a volte con calma, a volte inseguiti dai gendarmi, e Felipe, che sedeva dietro stravaccato, mentre Diego dormiva fumando un sigaro, tirava sempre fuori un paio di mutandine da donna, ogni volta diverso, e le annusava compiaciuto e noi non capivamo, perché era stato con noi tutta la sera ma niente, lui cuccava sempre e dove andasse e come facesse non lo sapevamo. Miguel, a fianco a me che guidavo, teneva il broncio finché non poteva farsi una tortilla come si deve. Io pensavo a Rosalita rimasta giù a sud, alla fattoria dove allevo anche i tori, e dietro gli occhiali a goccia, un po’ piangevo.
Intanto andavamo, nel deserto del Sonora con la nostra chevrolet del ’54. Rossa.