Primo (Villafranca di Forlì 1910 – 1989) e Secondo (Villafranca di Forlì 1914 – Forlì 1992) Fabbri sono un caso più unico che raro nel panorama musicale locale romagnolo. Sono infatti i più prolifici compositori di musica “sacra” in dialetto, e decisamente gli unici dei quali sia presente una congrua documentazione al riguardo. Ci si perdonino le virgolette, ma negli anni in cui i due furono attivi la sola idea di attualizzare in lingua locale i canti ed i testi religiosi era considerata, alla meglio, blasfema, e pertanto i due dovettero accontentarsi di un esercizio più o meno apocrifo delle loro doti.
I due nascono in una famiglia non agiata ma non indigente; la madre, Flora Tumini, era domestica presso i conti Guidi, il padre, Edmeo Fabbri (1882? – 1959) era incaricato dello sgradito compito di esattore (“gabelliere”) presso il foro boario di Forlì. La professione del padre probabilmente fu la causa della scarsa amicizia che molti giovani provavano per i fratelli Fabbri, che al diminuire delle relazioni terrene presero a frequentare sempre di più la parrocchia, dove si distinguono subito per l’operosità e per lo spirito di servizio.
L’allora parroco di Villafranca, don Oreste Bentini, li ricorda così: “Primo e Secondo Fabbri, compagni inseparabili, aiuti indispensabili, fermezza delle mie membra” (Oreste Bentini, memorie, 1939). Don Oreste inizia il fratello maggiore all’organo* ed il minore al canto.
Primo (a destra) e Secondo (a sinistra) Fabbri in una foto del 1937
I ricchi conti Guidi, notando nei giovani uno spiccato senso per la composizione musicale, fecero dono alla famiglia Fabbri di un armonium a due mantici, sul quale inizia l’avventura compositiva dei due. A malapena adolescenti compongono, seppure con molte difficoltà data la loro cultura non accademica, un paio di messe per organo ed un discreto numero di brani sacri sparsi, tra cui un noto kyrie in fa minore che venne eseguito per la prima volta nel duomo di Forlì durante la Messa di Natale del 1929, suscitando ammirazione e commozione nei fedeli.
I due si sposano nella prima metà degli anni ’30, e, seppur distaccandosi progressivamente dalla vita di oratorio della loro infanzia a Villafranca, non perdono ed anzi accrescono la loro produzione musicale, scritta sempre rigorosamente a quattro mani. Secondo Fabbri evita i dolori del secondo conflitto mondiale grazie ad uno stratagemma burocratico scoperto dal padre; Primo invece parte volontario e trascorre quasi due anni nei teatri di guerra greci. Durante questi lunghissimi mesi ha l’illuminazione della vita e compone, anche se solo nella sua mente, quella che diventerà la prima messa in dialetto della loro vasta produzione.
Sopravvissuti alla guerra, si ritrovano a comporre nel 1947, basandosi sulle idee maturate da Primo durante gli anni della guerra, la prima Mesa Rumagnola. Ne seguiranno quattordici, tra cui la citatissima Mesa da Matrimoni, per organo, del 1956, composta in occasione dello sposalizio di due amici di famiglia. In tutto i prolifici due comporranno, tra il 1947 ed il 1972 quattordici messe complete, centonovantatre canti sacri sparsi e la monumentale collezione di litanie “Litanei d’i Set” in tre volumi.
Le gerarchie ecclesiastiche, sempre molto critiche verso queste forme di volgarizzazione del corpus sacramentale, non furono mai particolarmente condiscendenti verso i due, che poterono eseguire le loro opere solo in liturgie occasionali, con la complicità di qualche sacerdote simpatizzante. Le cose comunque cambiarono decisamente con l’avvento della più “rilassata” atmosfera postconciliare. Per diverso tempo si fantasticò perfino di permettere l’esecuzione di una Messa in romagnolo dei Fabbri anche in una basilica vaticana, con l’avallo di papa Paolo VI, ma non se ne fece mai nulla.
Negli anni a seguire i due si staccarono progressivamente dalla musica sacra per approdare alla più secolare musica liscia (malignamente, potremmo aggiungere “alla più remunerativa” musica secolare). In tal senso, il loro brano più famoso è sicuramente “La nostra tera” (La nostra terra), il cui testo è un inno alla consapevolezza territoriale, corredato da una sorta di elenco disordinato ed ecumenico di luoghi geografici romagnoli, e che alcuni hanno paragonato (anche se, va detto, con un po’ troppe licenze) a “This land” di Woody Guthrie (1940).
Come spesso accade la gloria arrivò postuma per i due fratelli di Villafranca: negli anni ’90, poco dopo la loro scomparsa, iniziò la “riscoperta” da parte delle gerarchie della Chiesa delle esperienze religiose vernacolari. Recentemente il corpus delle opere dei fratelli Fabbri è stato pubblicato nella sua interezza (Messa Folk, Romagnolo, XVII, Torino, LDC 2002) e c’è chi sostiene che l’amato papa Wojtyla non disdegnasse affatto le messe in romagnolo del compianto -e sottovalutato- duo.
* no pun intended.