perché un doppio senso ci vuole sempre
Ehm, dunque… Non so da dove cominciare.
Ok.
Come voi saprete noi all’Istituto abbiamo un debole per il doppio senso pecoreccio. In particolare ci manda in brodo di giuggiole il doppio senso pecoreccio nella pubblicità, che purtroppo adesso un po’ si sta perdendo. Solo i produttori più fuori mano e un po’ scalcagnati possono ancora permettersi il lusso di certe sortite ai limiti del comune senso del pudore, come un po’ di tempo fa abbiamo testimoniato nel Caffé Nichilismo con un servizio su un liquore chiamato La Cosa Nera.
Siccome non c’è mai limite al peggio, un mese fa abbiamo trovato nel nostro supermercato di fiducia un barattolo di prugne con questa etichetta:
Questi signori della Noberasco®, ditta che non conosciamo a fondo ma verso la quale proviamo ad ogni modo stima ed empatia, hanno dato mandato ad un manipolo di pubblicitari, magari rampanti, di trovare una forma di packaging avvincente ed in grado di catturare l’attenzione.
Ce l’hanno fatta. Oltre alle solite note ormai standard nel confezionamento delle prugne secche (tonalità gialle a ricordare il sole che le ha seccate, viola a ricordare il colore -un po’ triste a dire il vero- della prugna, notazione della snocciolatura perché adesso tutti siamo un po’ I want it all and I want it now e non possiamo permetterci di perdere tempo con un seme). Ovvia anche la connotazione geografica “Prugne secche della California selezionate” perché siccome lo sono le Sunsweet® quelli della Noberasco non vogliono essere da meno, meno ovvio il gioco di parole “Benessere Quotidiano – Fonte di fibre” anche perché un po’ va camuffato il reale fine ultimo del consumo di prugne secche.
Ma il capolavoro è ovviamente il nome del prodotto. Si chiamano proprio così: prugne secche Viva la prugna. E non hanno nemmeno lesinato il punto fermo finale, come a dire che così è e così resta.
Ora io non so come lo leggiate voi, ma dalle nostre parti “prugna” è un eufemismo molto delicato per denotare una cosa più turpe, che possiedono solo le donne ed è collocata un po’ più in basso dell’ombelico. Il motivo per cui si è istituito questo eufemismo non ci è chiaro, ma sicuramente non discende da un paragone cromatico, mentre invece è probabile una similitudine di forma, consistenza e rugosità superficiale.
Per cui i creativi pagati dalla Noberasco® non hanno fatto altro che sfruttare in modo abbastanza bieco il collegamento mentale che l’ipotetico acquirente (si pensa uomo, ma chissà poi perché) sicuramente va a fare davanti al barattolo sullo scaffale del supermercato.
Ulteriori commenti ci paiono superflui.