Un tot di anni fa, credo ci fosse ancora presidente Scalfaro, il Satrapo andò a New York, la Grande Mela (“La Grande Meta” invece dovrebbe essere il sottotitolo di Radio NK, per quanto amiamo il discorso autoreferenziale, mentre “La Grande Tela” è l’internet stesso). Dal nuovo mondo ci portò cose grandi e belle, tra le quali un set fotografico con l’Alce Rufus impegnata ad ammirare delle ficate nordamericane, ad esempio l’Empire State.
A parte il pelouche di Rufus, che tuttora gli invidio con una virulenza suina, il Satrapo si impegnò a tradurre nel vecchio continente anche alcuni souvenirs commestibili, tra i quali ebbi il più invidiato.
Il barattolo di spam, la famosa carne suina pressata divenuta poi sinonimo di messaggi pubblicitari indesiderati e seccanti, come mostrato nell’immagine qui sopra; immagine che peraltro potremmo titolare natura morta con telecomando, spam e foglio di alluminio. Gli oggetti mostrati sono gli ingredienti necessari (uniti ad una buona dose di coraggio) dell’esperienza SPAM, ovvero il gesto da me compiuto per assaggiare questo splendido esempio di cultura pop e farlo trasformare ai miei intestini in un altrettanto splendido esempio di cultura plop.
Preparare lo spam per una deliziosa cenetta è facile ed a prova di idiota; tuttavia i produttori si sono premurati di riportare sulla scatola alcune semplici istruzioni:
TO BAKE: place thick slices on baking pan. Bake at 425°F for 10 minutes.
Appena sollevato il coperchio nell’aria s’è subito diffuso un odore robusto e speziato, con note di suino piuttosto accentuate. Ho chiuso gli occhi un attimo e subito mi si sono parate alla vista scene di esplosioni di depositi di prosciutti cotti, ed anche qualche scena di caduta dell’impero romano, perchè dio santo quell’odore era davvero decadente. Ho ventilato il locale prima di proseguire, perchè altrimenti non ci sarebbe stato un dopo.
Sorprendentemente all’interno del barattolo c’era pochissima gelatina; in compenso c’era un ammasso carnoso rosaceo, venato da strie rossicce e tempestato da pallini giallognoli. Scommetto una 50 che aprendo un barattolo di Piero Manzoni ci si troverebbe davanti uno spettacolo molto simile, sia visivamente che olfattivamente parlando. L’odore era sempre e comunque molto intenso ed inebriante, roba da far fuggire qualsiasi vegetariano nel raggio di 15 km.
Un’analisi approfondita del fondello del barattolo rivelava che il prodotto era leggermente scaduto (da circa 14 mesi). Gridando dei boja chi molla e dei me ne frego furibondi, che hanno anche insospettito i vicini democristi, ho continuato nell’intento, predisponendomi ad estrarre la massa proteica dal recipiente.
Finalmente era tempo di deporre la massa su un foglio d’alluminio e porzionarla. Prima pensavo di tagliarla con un grissino, poi sono passato ad una forchetta, poi ad un coltello da bistecca. Stavo per tirare fuori l’ascia perchè questo gnoccone di carnazza aveva una consistenza incredibilmente dura e soda, segno della consistenza morale e materiale dei suini nordamericani, che facilmente la vincono sui nostri rammolliti porci italici.
Il chiarore bluastro in alto a sinistra nella foto proviene dalla tv, che era intenta a trasmettere baggianate europee insapori, mentre io ero tutto intento a porzionare thick slices di un cibo nutriente e saporito, deponendole su d’un foglio di alluminio che sarebbe poi finito sopra una bella baking pan. Mentre pensavo a tutto questo, m’è sovvenuto Un americano a Roma, e mi sono seppellito dalla vergogna.
Anche se non conosco a memoria la conversione fahrenheit –> celsius, ho arguito che 425°F fossero intorno ai 200°C (210°C, mi fa notare l’ottimo gughel). Ciononostante ho optato per un approccio più soft (180°C) nel timore che una temperatura troppo alta potesse creare uno shock termico e degradare irreparabilmente i sapori delicati e sopraffini dello spam, costringendomi poi a rimandare in america il satrapo a comprarmi un’altra scatoletta. Mentre preriscaldavo, sciupando corrente a nastro, la TV mi allietava con storie d’oltreoceano, come le vittorie politiche di mister Obama, i roghi della california e le sparatorie nelle scuole del midwest, cosicché io potessi infornare felice e contento di un consolatorio tutto il mondo è paese.
Le fette, nella loro bella teglia, iniziavano a prendere vita e ad emettere uno sfrigolio che mi rassicurava sul corretto contenuto di grassi animali del cibo in cottura, cosa che non mi succede mai con quella roba blanda e salutista che ultimamente ho preso ad acquistare per imposizione del mio medico curante, tipo la verdura a foglia larga, lo yogurt 0,1% e le spremute d’arancia.
Dopo circa 15′ di trattamento termico, le fette di spam avevano preso una colorazione invitante ed appetitosa come certe signorine di Udine dopo tre settimane a Riccione, e s’era sparso un profumo che non richiamava più immagini di mattatoi e mangimi di farina animale. Il rumore di sfrigolio s’era fatto tonitruante, ed io fremevo visibilmente (infatti se notate l’immagine ha del micromosso, perchè la bava che mi colava copiosa dalle fauci mi impediva un controllo preciso del tasto di scatto).
Effettivamente guardando meglio tutte le immagini hanno del micromosso, segno che o ho un difetto extrapiramidale serio o il mio cellulare fa schifo al cavolo.
Ho apparecchiato in modo frugale ed ho riempito il mio piatto di spam cotto a puntino. Per completare la dose di grassi animali m’ero tagliato anche qualche fetta di asiago dop. Mmm, pork, pork, pork! Quelle fette di spam erano la cosa più grassa che avessi mai visto: il lardo di colonnata in confronto pareva una tisana al biancospino.
Siccome sull’internet non bisogna credere a qualsiasi cosa si legga (tipo che ne so che non siamo mai stati sulla luna, che jfk fu ucciso dai marziani, che elvis è vivo e che radio nk fa ridere) ho deciso di mostrare iconograficamente cosa intendo per grasso da fare schifo: ho fisicamente impresso una leggera pressione su una fetta di spam e da essa, come per miracolo, è sgorgato un fiume di una sostanza oleosa ed appiccicaticcia, che presto sarebbe passata ad ungere ed appiccicare le mie arterie.
Purtroppo non ho avuto la presenza di spirito di sfriggermi anche due uova e un po’ di pane bianco per accompagnare questa prelibatezza. Com’è al palato? Presto detto. La consistenza è tenera e leggermente gommosa, un po’ simile al prosciutto cotto ma meno fibrosa, diciamo tra il prosciutto cotto ed una salsiccia ai ferri. Al palato risulta leggermente viscida ma solida, ed allappa in modo quasi preoccupante. E’ salatissima, più di qualsiasi carne in scatola mai mangiata da noi. Io non ho mai mangiato cibo per cani perchè ho sempre temuto lo sguardo della cassiera del conad che mi conosce e sa benissimo che non ho cani, ma se mai dovessi mangiare, per indigenza o per sfida, cibo per cani immagino che abbia questo preciso grado di sapidità. Per ingollarla è bene associarla a qualcosa di dolciastro, tipo fette di pane da cassetta o maionese. Mentre stavo pensando al sapore di spam+maionese, il Grande Spirito del Wemma mi guardava annuendo.
Ovviamente per due settimane non ho mangiato che insalata, pane scondito e the poco zuccherato.